Recentemente si sente parlare più frequentemente di pericardite, in quanto è stata rilevata tra gli effetti collaterali della vaccinazione contro il Covid, come confermato anche dalle indagini condotte dall’Ema sui sieri di Moderna e di Pfizer. Secondo i dati statistici si registra un’alta incidenza della condizione patologica soprattutto tra gli uomini di 20-50 anni.
Con il termine pericardite si fa riferimento all’infiammazione del pericardio: una struttura a forma di sacco costituita da due membrane, divise da uno strato di liquido, dentro la quale è contenuto il cuore che così viene protetto e sostenuto. Il processo infiammatorio colpisce le membrane del pericardio che oltre ad arrossarsi, si gonfiano e possono anche andare incontro a versamento pericardico, se si verifica un aumento di liquido tra i due foglietti con conseguente limitazione della funzione di pompa del cuore.
Forme e cause della pericardite
Si distinguono due forme di infiammazione del pericardio: quella acuta, che compare improvvisamente e che ha una breve durata; quella cronica, che può durare più di 6 mesi. La condizione di pericardite essudativa cronica si manifesta in caso di produzione di una significativa quantità di liquido, che determina spesso infiammazione, che a sua volta provoca ispessimento pericardico e costrizione delle cavità cardiache: si parla in tal caso di pericardite cronica costrittiva. La letteratura clinica individua anche una forma subacuta, che è una condizione intermedia tra quella acuta e quella cronica per i tempi di di guarigione che si protraggono dalle sei settimane ai sei mesi.
Per quanto riguarda le cause della patologia pericardica non è semplice individuarle, così come diagnosticare la condizione per tempo. Nella maggior parte dei casi si identificano come fattori eziologici della patologia le infezioni (virali, batteriche o fungine) ma anche eventuali traumi toracici e tumori. Si elencano tra le altre possibili cause della patologia: eventuali malattie autoimmunitarie (artrite reumatoide, lupus eritematoso, sclerodermia); insufficienza renale; leucemia; AIDS; radioterapia; assunzione di farmaci immunodepressivi e droghe.
Il quadro dei sintomi e diagnosi
Talvolta la patologia pericardica non presenta sintomi, mentre quando si palesano segni, quelli più caratteristici sono rappresentati dalla percezione di dolore nella sede, che qualche volta tende ad estendersi al collo, al braccio sinistro, al dorso, più di rado all’addome. Si tratta di un tipo di dolore intenso o lieve, paragonabile ad una pugnalata, ma può essere anche urente. In genere il soggetto lamenta un dolore più fastidioso durante l’inspirazione, quando tossiche oppure ingoia, ma anche se si trova in posizione supina. Tra gli altri sintomi che si rilevano spesso ci sono: febbre, astenia, dispnea, tosse secca, palpitazioni, sudorazione fredda.
La diagnosi della pericardite non risulta agevole perché molto spesso la condizione è silente e ci si può imbattere nella sua identificazione nel corso di accertamenti cardiologici eseguiti per altre indagini. Per formulare una corretta diagnosi si devono analizzare dei parametri specifici, partendo dall’esame obiettivo del paziente che include l’anamnesi e la descrizione dei sintomi, sono poi necessarie delle indagini strumentali e di laboratorio. Grazie all’esame cardiologico con lo stetoscopio è possibile percepire gli sfregamenti pericardici: una spia che rileva la presenza di liquido fra i due foglietti infiammati.
Ma l’esame diagnostico gold standard è l’ecocardiogramma (ECG), perché consente di evidenziare la presenza di versamento e l’accumulo di liquido, ma anche di identificare un’eventuale pericardite costrittiva, inoltre l’elettrocardiogramma permette di rilevare le forme più lievi ed eventuali alterazioni del ritmo cardiaco o dell’attività elettrica del cuore. Tra gli altri esami diagnostici consigliati figura anche l’Rx del torace come i semplici esami del sangue, che possono indirizzare verso una più agevole diagnosi se si riscontra qualche valore anomalo negli indici di flogosi (PCR, VES, leucocitosi) e tra gli autoanticorpi.
La pericardite può andare incontro a delle complicanze tra cui il cosiddetto tamponamento cardiaco, da ascrivere all’eccessivo accumulo di liquido fra i due strati del pericardio che fa sorgere la compressione dell’organo con alterazione della sua funzionalità di pompa. Nel caso di una conseguenza come la pericardite costrittiva, dopo l’infiammazione può formarsi il processo di cicatrizzazione dei foglietti con alterazioni dirette a carico della funzione di pompa.
Terapie e trattamenti di cura
Il medico prescrive la terapia più adeguata tenendo conto dell’eziologia e delle condizioni del paziente, anche se in alcuni casi il soggetto potrebbe ritrovarsi ricorsivamente a sperimentare dei sintomi, non potendo beneficiare di una guarigione completa.
Premesso che la cura della pericardite dipende dalla sua causa, nella maggior parte dei casi si prescrive una terapia farmacologica a base di FANS in associazione ad aspirina; se però la patologia ha origine batterica si interviene con una terapia antibiotica ad hoc. In caso di malattia prolungata o soggetta a recidive il medico prescrive la colchicina da assumere nel lungo periodo.
Può essere necessario nelle condizioni di tamponamento cardiaco, con significativo versamento, eseguire un drenaggio con pericardiocentesi oppure eseguendo la pericardiotomia: un’incisione in una piccola porzione del pericardio che si esegue nel corso di interventi di chirurgia cardiaca. Invece la pericardiectomia chirurgica rappresenta la sola opzione terapeutica per ridurre i sintomi dei pazienti affetti da danneggiamenti a carico del pericardio, o se le pericarditi diventano ricorrenti. Si tratta di una procedura che consiste nell’asportazione chirurgica del pericardio, di parte o dell’intero sacco.