Variante XE, come riconoscerla? Gravità della malattia, sintomi e contagiosità

L’attenzione si è concentrata nell’ultimo periodo sulla variante XE, considerata una vicina parente di Omicron, in quanto figlia di BA.1 e BA.2. Si parla in tal caso di variante ricombinante ed ibrida, per far riferimento alla continua mutazione a cui va incontro ogni virus subendo il cosiddetto processo di ricombinazione da ascrivere al mix di due agenti patogeni. I virus ricombinanti emergono quando due o più varianti infettano la stessa cellula di un individuo, lasciando la possibilità alle varianti di influenzarsi nel corso della replicazione con rimescolamento del materiale genetico.

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Dopo più di due anni di Covid-19, il virus è andato incontro a diversi cambiamenti che hanno attualmente lasciato spazio ad una maggiore ricombinazione per via anche della convivenza di diverse mutazioni e di una diversità genetica del virus Sars-CoV-2 più significativa. Ad oggi la variante XE non è l’unica ricombinante identificata, ed infatti sono state segnalate due tipologie: quelle Deltacorn, un mix tra Delta e Omicron; quelle derivanti dalle sotto varianti di Omicron.

Per quanto riguarda la recente mutazione ibrida, appunto la variante XE, i primi casi si sono registrati nel mese di gennaio 2022 nel Regno Unito ma dopo aver superato rapidamente i 600 casi in poche settimane è iniziata a serpeggiare maggiore preoccupazione, come confermato dall’annuncio dell’Oms che ha lanciato l’allerta sulla nuova variante Covid-19, segnalando che si tratta di una combinazione di BA.1 e BA.2 di Omicron, caratterizzate a loro volta da un’elevata trasmissibilità.

Variante XE: gravità della malattia, sintomi e contagiosità

Dai primi dati raccolti in ambito medico-scientifico si ipotizza che i soggetti che sono stati già contagiati da BA.2 dovrebbe avvalersi di uno scudo protettivo contro la variante del Covid, ma si tratta di una tesi da verificare. Oltre ad essere stata rintracciata nel Regno Unito, la variante ricombinante si è diffusa anche in altri Paesi: Giappone, Stati Uniti, Thailandia, India; la sua corsa veloce ed inarrestabile ha rinnovato le preoccupazioni anche se l’Oms non l’ha classificata come una nuova VOC: variante di preoccupazione.

Uk Health Security Agency
Uk Health Security Agency

Secondo le recenti indagini condotte negli Regno Unito, la variante XE ha un tasso di trasmissione che va dal 12,6% al 20,9% rispetto ad Omicron 2, un dato che attesta che è altamente contagiosa e che può diventare nell’arco di qualche settimana una nuova variante dominante, uno scenario che deve essere confermato.

La variante XE è stata classificata come una parente diretta di Omicron, fino a quando non verranno identificate eventuali differenze nei parametri relativi alla trasmissione ed alla gravità della malattia, quindi il suo comportamento risulta analogo al suo progenitore. Per quanto riguarda le informazioni sulla sua gravità, per ora la ricombinazione del virus non ha inciso profondamente sul tasso di mortalità o di ricovero, a conferma del fatto che non ci sono prove che attestano che i virus ricombinanti siano una minaccia più gravosa per la salute rispetto ad altre variante.

La variante XE secondo i primi dati determinerebbe un quadro di sintomi analogo alle altre mutazioni precedenti scatenando: febbre, mal di testa, dolore muscolare ed osseo, affaticamento, letargia. Tenendo conto delle informazioni relative ad Omicron, si ipotizza un decorso lieve della malattia scatenata da XE e non si evidenzierebbero differenze con Omicron nei soggetti vaccinati in caso di contagio. Gli esperti infatti ritengono che i virus ricombinanti a base di Spike e proteine strutturali abbiano un comportamento analogo rispetto ai loro genitori.

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Efficacia del vaccino anti-Covid

In caso di infezione della sottovariante, si ipotizza che le canoniche terapie farmacologiche funzionano anche contro XE, per cui risulta efficace il trattamento con anticorpi monoclonali, come anche le terapie a base di Paxlovid e molnupiravir. Per quanto riguarda l’azione dei vaccini anti-Covid si conferma l’efficacia contro la variante XE che non sarebbe capace di eludere l’immunità acquisita da vaccino o da un precedente contagio. Il mondo medico attesta quindi che i vaccini funzionano contro le varianti che prevedono la ricombinazione di BA.1 e BA.2, e quindi ritengono che garantisca una protezione contro XE.

Bisogna però tener conto di un dato oggettivo: la copertura vaccinale cala nel tempo ed a distanza di due mesi dal richiamo si perde circa il 6% di efficacia che continua a decrescere con il passare del tempo. In pratica più tempo passa dalla somministrazione della dose booster e meno si è protetti dalle varianti che hanno come genitori Omicron. Per quanto riguarda l’efficacia del vaccino mancano comunque dati sufficienti sui ricombinanti, un vuoto che riguarda al momento anche le voci relative a: trasmissibilità, della malattia e capacità di sfuggire alla protezione immunitaria attribuita dai vaccini anti-Covid.

Fonte articolo: corriere.it

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